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 Quella donna con il vuoto dentro.

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R E S O C O N T O    D I S C U S S I O N E
n/a Inserito il  - 05 July 2010 : 05:45:23
La brocca è abbandonata accanto al pozzo.

Era verso mezzogiorno. La donna era giunta al pozzo per attingere acqua. Una stanca abitudine quotidiana, una necessità giornaliera. L’ora più calda. Le sagome dei monti Gherizìm ed Ebal si stagliano nel cielo terso, l’aria arroventata. E quell’ombra scura nella profondità nascosta del pozzo, già preludio della freschezza dell’acqua preziosa e ristoratrice al fondo. La donna è accaldata. Preparandosi ad attingere stancamente, posa la brocca accanto a pozzo. E vorrebbe posare così anche il peso che porta dentro, tanto più schiacciante quanto il vuoto che sente in sé.

Lui era già lì. Uno straniero: non veste come i samaritani, pare un giudeo. È stanco lui pure, assetato lui pure, accaldato. Sta seduto, stanco del viaggio, accanto al pozzo. Due stanchezze che s’incontrano. Quella dello straniero passerà però con il riposo della sosta.

Verso mezzogiorno. Ora insolita per attingere acqua. Chi mai oserebbe sottoporsi agli strali del sole a picco? La gente cerca di starsene in casa, all’ombra. Ora adatta però a evitare le altre donne, le comari sempre pronte a lanciare occhiate di sottecchi per poi scambiarsele malevolmente e in silenzio tra loro, quelle che di sera avrebbero fatto la spola tra la casa e il pozzo. È così stanca, lei. Stanca dentro. Insoddisfatta ancora, dopo una vita fatta di disillusioni una dopo l’altra. Ha sempre cercato l’appoggio di un uomo, per dare pienezza alla sua vita. Di uomini ne ha avuti, e tanti. Ma non per questo lei è donna leggera o disinvolta. E suoi sono stati mariti veri, e ne ha avuto cinque. Si era sposata, ogni volta, nella certezza di dare la svolta giusta alla sua vita. Illusioni, ogni volta. E ora, disillusa, coabita con uno che non è neppure suo marito. Il vuoto dentro, la stanchezza. Un’esistenza ridotta a brandelli.

Quello straniero le era apparso subito un po’ strano. Tutto era stato improvvisato al momento, quasi spontaneo. Ma senza convinzione, per lei almeno. Semplice coincidenza. Eppure, con una sorpresa. Davvero era un tipo strano, lui: prendersi così la libertà di parlare ad una donna, per di più samaritana. Qualcosa però lei lo aveva avvertito, qualcosa di diverso. Ma sempre strano: chiedere da bere, a lei. Era stata solo una sensazione, anzi un accenno di sensazione; subito ricacciata indietro. Non aveva più la forza – soprattutto, la voglia – di emozionarsi per qualche novità. Era così rientrata subito nel suo schema delle stanche e scontate abitudini cui si era arresa ormai da tempo. Evitava così, è vero, un guizzo di vivacità che avrebbe potuto farla sentire viva per un momento; ma evitava anche che quel guizzo le recasse altra disillusione. E poi, non aveva forse ormai capito che gli uomini sono tutti uguali? Non vale la pena attaccare discorso, non porta a nulla. Più facile ritirarsi in sé e ignorare. La diffidenza fa ormai parte di lei e sa sgattaiolare abilmente.

L’acqua è il tema obbligato, lì al pozzo. E lui, che sa vedere oltre e più lontano, con disinvoltura capovolge la situazione. Ora non chiede più l’acqua: la offre. Non vuole più quell’acqua: ne ha lui da darle, e di diversa. Un’acqua misteriosa che ha a che fare con un segreto che lui solo sa. Così si parla ancora d’acqua, ma non dell’acqua del pozzo. Acqua d’altra sorgente.

L’argomento è ancora la sete. Ma si tratta d’altra sete. Le parole sono quelle, le solite: acqua, sorgente, sete. Lei qualcosa intuisce. Ma è proprio possibile che lui le stia parlando di quella sete? La diffidenza ha ancora la meglio su di lei: la lezione della vita la ha appresa bene. Con gli ideali si vola alto, ma è proprio cadendo dall’alto che ci si fa più male. Scantonare, occorre scantonare. Ma intanto è stata punta sul vivo del suo intimo ben celato. Scatta in lei un moto di autodifesa con cui non solo vuole respingere la tentata intrusione nell’intimità del suo animo, ma con cui vuol ferire in qualche modo l’intrusore stesso per sviarlo e tenerlo lontano. Usa così l’arma femminile dell’ironia quasi sarcastica con cui maschera il timore di cadere in trappola.

I due usano la stessa lingua. Di più: lo stesso linguaggio. Sempre l’acqua, la sorgente. E la sete. Già, la sete. Le parole sono quelle, e ciascuno dei due le intende a modo suo. Soprattutto, vogliono ciascuno una cosa diversa. Lui sa dove vuole arrivare. L’ha saputo da subito, anzi da ancor prima. Pareva quasi fosse lì ad aspettarla. Non aveva forse lasciato che i suoi amici andassero soli ad acquistare il cibo per il pranzo, volendo restare lì tutto solo? Non ha perso tempo: in poche battute, ribaltando la situazione, è giunto alla soglia dell’animo di lei e si è affacciato sui segreti che ella custodisce nell’intimo. L’iniziativa di lui è stata abile e decisa, partendo dal pretesto di quella inconsueta e stupefacente richiesta d’acqua, che in quel territorio samaritano appare scandalosa. Lei, invece, non vuole arrivare da nessuna parte. Non più, da un pezzo. È così assuefatta alla vita che può assumere un atteggiamento disinvolto e un po’ spregiudicato, a tratti irriverente. Può far sfoggio anche di astuzia, usando quell’ironia che rasenta il sarcasmo. Un’acqua che fa passare la sete per sempre? Magari, così non si deve più far fatica ad attingerne dell’altra!

Inconsapevolmente, intanto, si riconosce bisognosa. Si gioca ancora con le parole. Lei è stanca, non ne può più di venire lì al pozzo, ogni volta di soppiatto. È stanca della sua vita, non ne può più di gesti faticosi e ripetitivi senza prospettiva. La solita strada sotto il sole cocente, tirar su, attingere. La solita vita chiusa, mandar giù l’amaro, nulla per sé. Rientrare con quella brocca pesante. Portare un peso, e portare quell’altro peso dentro di sé. Oggi come ieri, soprattutto domani come oggi. È la stanchezza del lavoro a vuoto, dell’affannarsi senza meta. Il quotidiano senza un perché diventa spossatezza eccessiva. Un’acqua che non dà più sete? Ma sì, pensa che meraviglia non venire più al pozzo! Intanto dice, se pur con sarcasmo, che la vorrebbe. Lui voleva portarla proprio lì, facendo emergere la sua insoddisfazione per renderla consapevole del suo bisogno.

Lei avverte la trappola. La evita con l’arma del sarcasmo. Ma lui continua a sbarrarle il passo, a toglierle quasi impietosamente le vie di fuga. Lei pare quasi sul punto di crollare. Ma sta ancora all’erta: intuisce che quell’incontro può diventare pericoloso. Quell’uomo non è come gli altri, e vuole portarla dove lei non vuole. Per sfuggirgli, una scappatoia ancora c’è. Con furbizia la butta in disputa religiosa: c’è la questione del Tempio, che divide loro samaritani da quei presuntuosi di giudei. Così lei dirotta il discorso su un argomento impersonale, per evadere la questione vera. Vuole sfuggirgli, sottrarsi alla sua presa, eludere con astuzia quella trappola. Non le piace affatto sentirsi così guardata dentro. Il profondo disagio le dà la forza di tentare quella mossa che può rompere il cerchio che si stringe attorno a lei e al suo problema esistenziale e personale. Lai ha già sbirciato delle scappatoie per garantirsi le vie di fuga. Tenta così una fuga all’indietro: forse lui è più grande del loro padre Giacobbe? I loro padri hanno detto che è lì sul loro monte che c’è il culto vero. Strada sbarrata, perchè lui risolve la disputa: viene il momento di adorare Dio non su un monte, ma in spirito. Tenta allora la fuga nel futuro: quando verrà il messia, si vedrà. Non oggi, oggi no. Oggi non si può decidere nulla. Meglio rimandare. In futuro si vedrà, quando le cose saranno più favorevoli. Lei temporeggia, rinvia, rimanda, aspetta il messia.

E cade in trappola. Lui ha compiuto la sua mossa più sorprendente, quella decisiva:
- Sono io il messia, io che parlo con te.
Non c’è più l’alibi di dover rimandare al futuro. È ora. Qui. Adesso. Subito.
Lui si è giocato tutto. Lui, così geloso del suo segreto messianico, non ha esitato a rivelare a lei – donna samaritana dai cinque mariti più uno irregolare – la propria identità. Il momento è carico d’intensità.

Lei non regge più. Qualcosa le sorge da dentro e lei non lo contiene più. Deve comunicarlo, dirlo, gridarlo. Non può tenere per sé quella scoperta così sconvolgente. Abbandona lì la brocca e corre a coinvolgere altri per farli partecipi della sua forte emozione. Lui le ha detto solo che sa che ha avuto cinque mariti e ora sta con un altro che non le è neppure marito. Ma lei grida: “C’è uno che mi ha detto tutto quello che ho fatto”. Sa di essere stata compresa nelle sue vicissitudini.

Lui rimane solo, la brocca di lei abbandonata accanto al pozzo. Tutto è accaduto. Ritornano gli amici di lui, il cibo in mano. Nessuno osa dirgli alcunché. È un rabbino che non si cura delle convenzioni e rompe i pregiudizi, certo, ma rompere gli schemi così, parlare con una donna per strada, per giunta samaritana! Cosa aveva in mente, poi? E ora dice loro che ha un altro cibo da mangiare. Ma chi mai glielo avrà portato? Sono i suoi discepoli, è vero, ma non hanno l’intelligenza della donna. Con lei parlava d’acqua e di sete, e il discorso parallelo era altro. Per loro il cibo è cibo, che altro?

La brocca abbandonata accanto al pozzo. Lei non ha più attinto, alla fine. Qualcosa di ben più importante accade. Con lui accade sempre così. Ogni incontro con lui non è mai innocuo. Le cose, dopo, non sono più come prima. Lei lo aveva intuito quasi subito, cercando invano di sottrarsi. E pensare che voleva acqua da lei. In realtà era come se le avesse detto: Chiedimi tu da bere. Ha provocato meraviglia, prima con la richiesta e poi con l’offerta. Aveva un’acqua del tutto speciale. Un’acqua che diviene sorgente interiore nella parte più intima e più profonda della persona. E che zampilla in sempiterno. Con una fonte interiore così, la sete vera è estinta; sorgenti esterne non ne servono più; miraggi di oasi fasulle non potranno più abbagliare.

Lui non l’ha affatto costretta a confrontarsi con se stessa e con la disarmonia interiore cui si era ridotta. Non le ha rinfacciato nessuna colpa: ha fatto solo in modo che lei vedesse gli errori. Non l’ha messa di fronte a quello che era: l’ha messa di fronte a quello che avrebbe potuto essere. Non si è trattato di correggere la vecchia donna, ma di far sorgere la donna nuova, quella vera. Lui non l’ha condannata. Le ha lasciato intravedere una scoperta esaltante, una prospettiva nuova. Le ha indicato la strada giusta, l’unica; poi le ha sbarrato le altre, dispersive e che a che a nulla conducevano, attraverso le quali lei pensava di sfuggirgli. E lei che resisteva, svicolava, sfuggiva! Lui ha saputo renderla consapevole delle sue nostalgie segrete, ha saputo mettere a nudo i suoi bisogni veri. Non l’ha solo capita, comprendendo le sue attese: le ha addirittura suscitate. E lei che riteneva Giacobbe più grande di lui! Giacobbe aveva scavato un pozzo cui bisogna tornare ogni giorno. Lui ha messo in lei una fonte di acqua viva che si fa sorgente. Lui non ha spiegato la donna a partire dal suo passato. Ha usato un procedimento psicologico inverso: l’ha spiegata a partire dal suo futuro. Lei non deve rimestare nel passato, ma esplorare il futuro. Lei non doveva essere il ricordo o il rimorso di se stessa, ma quella che sarebbe diventata. Lei aveva bisogno di altro, anche se fingeva di non accorgersene e si rifiutava di ammetterlo. “Se tu conoscessi il dono di Dio…”, che significa: Se tu sapessi di cosa hai bisogno… È il bisogno di aver bisogno.

E la brocca rimane là, abbandonata accanto al pozzo.
Quella brocca che conserva ancora il tocco di lei.


(Gv 4:5-33).

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