gattosilvestro67
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Lasciato il - 06 January 2012 : 17:47:21
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MORTALITA' ED IMMORTALITA'.
Noi troveremo il loro vero significato in perfetto accordo con ciò che abbiamo appreso dal nostro confronto degli esposti biblici concernenti gli esseri umani e spirituali e le promesse terrene e celesti. Si dà di solito a tali vocaboli un significato assai incerto, e non poche idee false sul loro vero senso producono delle vedute sbagliate su soggetti che sono rapportati con loro: ciò si verifica spesso nell'uso generale come in quello delle Scritture. Mortalità indica la condizione e lo stato di ciò che è soggetto a morte; non già una condizione di morte, ma una condizione nella quale la morte è possibile. Immortalità indica la condizione e lo stato di ciò che non è soggetto a morte; non solo una condizione di franchigia o di esenzione da morte, ma una condizione in cui la morte è impossibile. Il concetto assai diffuso, ma sbagliato, sul termine mortalità (o essere mortale) è una condizione in cui la morte è inevitabile, mentre l'idea comune sul significato del termine immortalità è più corretta nel suo insieme. La parola immortale significa non mortale; la costruzione stessa del vocabolo indica dunque la sua definizione vera. Si è a causa d'una falsa idea della parola mortale che tanti confondono quando essi provano a dimostrare se Adamo fosse mortale o immortale prima della trasgressione. Essi pensano che se egli fosse stato immortale Iddio non avrebbe detto: "nel giorno che tu ne mangerai, per certo morirai"; poiché è impossibile che un essere immortale muoia. E' quella una conclusione logica. D'altra parte essi dicono: se egli fosse stato mortale, in che avrebbe consistito la minaccia o il castigo "tu morrai"; poiché (secondo la loro interpretazione sbagliata) egli non avrebbe potuto sfuggire alla morte?
La difficoltà sta, come vedremo, nella falsa interpretazione data al termine mortalità. Applicatevi la definizione corretta, e tutto sarà chiaro. Adamo era mortale, – cioè in una condizione nella quale la morte era una possibilità. Egli possedeva la vita in una misura piena e perfetta. La vita sua veniva alimentata da "ogni albero del giardino", ad eccezione di quello che era vietato; e fintanto che egli restava ubbidiente e in armonia al suo Creatore. la sua vita sarebbe durata, – gli elementi del suo sostentamento non gli sarebbero stati ritirati. Vediamo dunque che Adamo aveva la vita, e avrebbe perfettamente potuto evitare la morte; pertanto la sua condizione era tale che la morte era possibile, – egli era mortale. Quindi la questione si pone: Se Adamo era mortale e sottoposto alla prova, lo era egli per l'immortalità? La risposta generale sa¬rebbe: sì. Noi rispondiamo no.
La sua prova ebbe luogo per vedere se egli fosse degno o indegno della continuazione della vita e delle benedizioni che già possedeva. Dal momento che in nessun luogo era promesso che con l'ubbidire egli avrebbe raggiunto l'immortalità, siamo costretti a lasciare fuori ogni ipotesi del genere. Egli aveva la promessa della continuazione delle benedizioni di cui godeva in quel tempo fino a che egli avrebbe ubbidito, con la minaccia di perdere ogni cosa e di morire, in caso di disobbedienza. E' il falso concetto sul significato del termine mortale che generalmente seduce le persone a credere che tutti gli esseri che non muoiono sono immortali. In quella categoria si comprende il nostro Padre celeste, il nostro Signor Gesù, gli angeli e l'umanità tutta. E' tuttavia un grave errore: la gran massa del genere umano salvata dalla sua caduta, come gli angeli stessi, sono sempre mortali.
Anche in una condizione di perfezione e di felicità senza fine, gli uomini saranno sempre provvisti di quella natura mortale che potrebbe gustare il salario del peccato, – la morte – qualora commettessero il peccato; la certezza della loro esistenza sarà condizionata, come lo fu Adamo, dall'obbedienza verso Dio. La sua giustizia, la sua sapienza, il suo amore e la sua potenza, mediante la quale egli fa “concorrere tutte le cose al bene di coloro che l'amano" e lo servono, saranno state pienamente dimostrate a tutti per il suo procedere riguardo al peccato nel tempo presente. In nessun luogo delle Scritture è detto che gli angeli siano immortali, né che l'umanità ristorata sarà immortale. Al contrario, l'immortalità non è attribuita se non alla natura divina, – in origine al solo Geova, e posteriormente al nostro Signore Gesù, nella sua presente condizione di "sovrumanamente innalzato" e finalmente per promesse alla Chiesa, il corpo di Cristo una volta con Lui glorificata. (1 Tim.6: 16; Giov 5: 26; 2 Piet., 1: 4; 1 Cor., 15: 53-54). Non solo abbiamo l'evidenza che l'immortalità appartiene alla natura divina, ma abbiamo la prova che gli angeli sono mortali, dal fatto che Satana, già capo fra di essi, sarà distrutto. (Ebrei 2: 14). Il fatto che egli può essere distrutto prova che gli angeli sono mortali.
Procedendo per questa via, la sola scritturale, noi vediamo che una volta sterminati i peccatori incorreggibili, gli esseri immortali come i mortali vivranno per sempre nella gioia, nella felicità e nell'amore: i primi perché posseggono una natura incapace di morire, essi hanno la vita inerente – la vita in sé stessi (Giov.5: 26), e gli ultimi perché, con la loro natura suscettibile di morte, attraverso la perfezione del loro essere e la conoscenza che essi hanno del male e delle gravi conseguenze del peccato. Essen¬do stati provati dalla legge di Dio, saranno provveduti in eterno degli elementi necessari per la conservazione della loro perfezione, e non morranno mai.
L'intendimento giusto dei termini mortale e im¬mortale e del loro uso nelle Scritture distrugge la base stessa della dottrina delle pene eterne. Essa è basata sulla teoria antibiblica che Iddio abbia creato l'uomo immortale, che egli non possa cessare di esistere e che Iddio non lo possa distruggere. Di qui l'argomento della necessità dell'esistenza degli incorreggibili, in qualche modo e in qualche luogo, se ne conclude che non essendo essi in armonia con Dio, la loro eternità non può che trascorrere in uno stato misero. Ma la Parola ci assicura che Iddio ha preso le sue precauzioni contro tale perpetuazione del peccato e dei suoi pec¬catori: che l'uomo è mortale e l'intero castigo del peccato deliberato contro la pienezza della luce di conoscenza perfetta; non sarà mai una vita di tormento, ma una seconda morte. "L'anima, che avrà peccato, quella morrà".
"O uomo – chi sei tu che contrasti con Dio" (Rom. 9: 20)
Alcuni accarezzano l'idea che la giustizia richieda che Dio non faccia nessuna distinzione fra le sue creature nella dispensazione delle sue grazie; se Egli innalza uno ad una situazione elevata, a luogo di giustizia Egli debba fare lo stesso per tutti, a meno che venga provato che qualcuno non abbia quel diritto, in questo caso sarebbe giusto di assegnargli un rango inferiore. Se fosse corretto un tale principio, dimostrerebbe che Dio non aveva diritto di creare Gesù superiore agli angeli e di innalzarlo in seguito alla natura divina, a meno che Egli abbia lo stesso intento riguardo a tutti gli angeli e a tutti gli uomini. Per forzare ancora maggiormente questo principio, se alcuni uomini debbono essere supremamente innalzati e partecipare alla natura divina, converrebbe che, eventualmente, tutti fossero innalzati alla medesima posizione. Allora perché non spingere il principio all'estremo limite, applicando la stessa legge a tutti gli esseri, al quadrupede, all'insetto, ecc., e dire che, essendo tutte creature di Dio conviene che, eventualmente, tutti raggiungano il più alto grado di esistenza – la natura divina? Questa è una cosa assurda, ma non sarebbe meno ragionevole di qualsia¬si applicazione del principio presunto citato più sopra. Vogliamo sperare che nessuno voglia spingersi in un'ipotesi tanto erronea. Tuttavia se fosse un principio fondato sulla semplice giustizia, dove si trova il suo punto giusto? Infatti, se tale fosse il Piano di Dio, che cosa diverrebbe la varietà e la bellezza di tutte le sue opere? La natura intera, tanto quella animata che quella inanimata, annuncia la gloria e la diversità della sapienza e della potenza divina. E se "i cieli raccontano la gloria di Dio, e la distesa annuncia l'opera delle sue mani” in prodigiose varietà e in magnificenza, quanto più la Sua creazione intelligente mostrerà nella sua varietà la gloria suprema della sua potenza. L'insegnamento formale della Parola di Dio, della ragione, e l'analogia della natura ci autorizzano a concludere in questo ultimo modo. Dovremo avere un'idea giusta ed esatta della giustizia. Una grazia non dovrebbe mai essere considerata come una ricompensa giustamente meritata. Un atto di pura giustizia non dà luogo ad alcuna gratitudine speciale, né si può maggiormente ritenete come una prova di carità. Ma Iddio manifesta il suo amore per le sue creature con un seguito infinito di favorì immeritati, ciò dovrebbe portare in cambio il loro amore e la loro lode. Iddio sarebbe stato in pieno diritto, se così avesse voluto, di crearci per una breve esistenza, anche se non avessimo mai peccato. Così egli fece per alcune delle sue creature della classe inferiore. Egli avrebbe potuto lasciarci gustare i suoi favori per un istante, onde in seguito, senza ingiustizia, reciderci.
In fondo, una esistenza di durata così breve sarebbe anche una grazia. Non è che in virtù della sua grazia che noi esistiamo, in fin dei conti. Qual grazia maggiore ancora è la redenzione dell'esistenza venuta meno e condannata già a motivo del peccato! E quanto più ancora dobbiamo noi essere riconoscenti di quel favore divino, consideran¬do che siamo uomini e non animali! E’ per grazia soltanto che gli angeli sono di natura un po’ più elevata che gli uomini, ed è per pura grazia che il Signore Gesù e la sua Sposa diventano partecipanti della natura divina. Occorre per conseguenza che tutte le creature intelligenti ricevano con gratitudine tutto ciò che vien loro dato dal Signore. Qualunque sentimento diverso merita la giusta condanna, e colui che adesso si abbandona in-teramente sarà in fin dei conti abbassato e distrutto.
Un uomo non ha diritto di aspirare a divenire un angelo, non essendo stato mai destinato a quella condizione; e un angelo non ha maggiormente diritto di aspirare alla natura divina; quest' ultima non gli è mai stata offerta. Fu il peccato di orgoglio di Satana che causò la sua caduta; egli lo condurrà alla distruzione .(Isaia, 14: 14). "Chiunque s'innalza sarà abbassato e chiunque s'abbassa sarà innalzato” (Luca, 14:11) ma non necessariamente al rango più elevato.
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