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Daniele cap.5

Passiamo ora  al capitolo 5 di Daniele per considerare la sua terza Profezia.   

I personaggi cambiano, in quanto il re Nabucodonosor era morto e gli era succeduto suo figlio Baldassarre (vedi cap. 5 vers. 10-11), il quale indìce un fastoso banchetto con tutti i  grandi del suo regno (mille commensali), e volle brindare con  loro nei vasi d’oro e d’argento che suo padre Nabucodonosor aveva portato via dal tempio in Gerusalemme.

Vorrei qui chiarire un argomento che mi sta molto a cuore: LA STORICITA’ DI BALDASSARRE.  Secondo gli storici egli non compare nella linea di discendenza dei re babilonesi.  Per cercare di far luce su questo controverso argomento dobbiamo partire da una DATA CERTA, IL 539 a.C. come data assoluta sulla quale tutti gli storici concordano (Tolomeo, Diotoro Siculo, Eusebio ecc.)   La cosiddetta  CRONACA DI NABONEDO è un frammento di una tavoletta d’argilla conservato al British Museum.   E’ una copia, risalente all’epoca dei Seleucidi (312-65 a.C.) di un documento cuneiforme più antico che esalta la figura di Ciro II e denigra quella di Nabonedo.   E’ il più completo documento cuneiforme sulla caduta di Babilonia, dove compaiono il mese ed il giorno della presa della città: il 16 tisri.  Questa data corrisponde all’11 ottobre del calendario Giuliano e al 5 ottobre del calendario Gregoriano dell’anno 539 a.C.

Nel 539 a.C. Ciro II il persiano e Dario il Medo conquistarono il territorio babilonese.  Il re di Babilonia Nabonedo andò contro di loro con il suo esercito, ma fu sconfitto e fuggì a Borsippa, a sud di Babilonia.   Il 5 ottobre 539 a. C. Ciro II fece deviare nottetempo un canale dell’Eufrate, entrò in Babilonia mentre tutti dormivano e la conquistò senza combattere. In quella notte uccise il correggente di Nabonedo: Baldassarre (Daniele 5:30).   Ecco perche Baldassarre non compare fra i Re.   Nabonedo si arrese e raggiunse la città, dove fu fatto prigioniero e deportato in Persia.   Ciro II fece suo correggente in Babilonia Dario il Medo (Dan.9:1).   Questi viene detto da Daniele “figlio di Assuero” non perché fosse persiano ma perché in lingua persiana  Assuero vuol dire “re” e tale titolo veniva attribuito ad ogni regnante. Infatti Dario era figlio di uno dei re di Media.   La Media era suddivisa in più regni e c’era un re a capo di ogni reame.   Daniele parla del 539-538 a.C. come del “primo anno di regno” di Dario il Medo su Babilonia quale correggente  o vicerè  di Ciro II (Dan. 9:1,2; 11:1). Dario regnò un solo anno su Babilonia?   Se così fosse Daniele non l’avrebbe chiamato “primo” ma “unico”.   A un certo momento Ciro II decise di regnare solo su Babilonia.  Lo fece in quell’anno che in Daniele 10:1 è chiamato “ il terzo anno di Ciro re di Persia”.   Ciro regnava sulla Persia da vario tempo e non da due anni soltanto.   Ma Daniele Voleva dire  “ il terzo anno in cui Ciro, re di Persia, regnava su Babilonia,” considerando come primo anno del suo regno su Babilonia quello cominciato nel 539 a.C. Quindi il “ terzo anno di Ciro” è l’anno che va dal 537 al 536 a.C.    Da ciò si deduce che Dario il Medo fu vicerè di Ciro II solo per due anni (539-537 a.C.).

 

IL PROBLEMA DI DARIO IL MEDO.

I critici della Bibbia dicono che Daniele ha confuso Dario il Medo con Dario I il persiano.  Ciò è errato in quanto:

a)      Dario I, figlio di Istape, non poteva essere chiamato il Medo in quanto tutti ben sapevano che era un discendente dell’antica linea regale persiana.

b)      Dario I non poteva avere assunto il potere a Babilonia all’età di sessantadue anni, come viene detto nel testo, perché era noto a tutti che cominciò a regnare in un’età abbastanza giovanile.

c)      In Dan.9:1 vien detto che Dario, figlio di Assuero (re), della stirpe dei Medi, fu costituito re sopra tutto il regno dei Caldei.  Il termine “fu costituito” (in aramaico homlàk) lascia intendere che egli abbia ricevuto il titolo di re del regno dei Caldei da un autorità più elevata di lui.

 Questo si accorda bene con l’ipotesi che egli possa essere stato fatto vicerè di Babilonia da Ciro il Grande, il quale lo aveva nominato governatore di Babilonia, e gli aveva permesso di portare il nome di re, come era già avvenuto nel caso di Baldassarre, costituito re di Babilonia dal padre Nabonedo.  I critici tuttavia obbiettano che un semplice vicerè non poteva avere l’autorità da emettere un decreto che si estendeva a tutti gli abitanti della terra, come viene detto in Dan. 6:25. Si deve però osservare che la parola aramaica (ARA’) e la corrispondente ebraica “ERES”, che significano “terra” non necessariamente indicano un vasto impero ma possono indicare semplicemente un territorio o una contrada ben delimitata.   Quindi il decreto di Dario il Medo valeva soltanto nel territorio o nella contrada in cui era stato costituito governatore da Ciro il Grande.   Inoltre essendoci l’usanza da parte dei re di Babilonia fin dai tempi di Hammurabi di farsi chiamare “re di tutto l’universo” (letterale “re di tutti”), può darsi che anche Dario il Medo abbia semplicemente seguito l’antico costume che usava un termine implicante il dominio universale, pur non avendolo in realtà.   Si trattava semplicemente di una frase che faceva ormai parte dell’antico protocollo regale, ma che negli anni successivi perse il suo significato originario.   Sembra dai reperti storici che un certo Gubaru o Gobria sia stato stabilito governatore di Babilonia e di Ebirnari (regione al di là del fiume) da parte del re Ciro il Grande.   Egli è così chiamato nelle tavolette del quarto, sesto, settimo e ottavo regno di Ciro (ossia 535, 533, 532 e 531 a.C.) e poi nel secondo, terzo,quarto e quinto anno di Camise II (ossia 528, 527, 526 e 525 a.C.).    Sembra che Gurabu sia morto durante una rivolta nel regno di Dario I il persiano perché il 22 Marzo del 520 a.C. il nuovo governatore di Babilonia risulta essere un certo Ushtani.

 Lo storico Whitomb afferma: << E’ nostra convinzione che Gurabu, governatore di Babilonia e della regione al di là del fiume, appaia nel libro di Daniele come Dario il Medo, il re che ebbe l’incarico del regno caldeo subito dopo la morte di Baldassarre e che stabilì satrapi e presidenti (incluso Daniele) perché lo assistessero nel governo di un territorio assai esteso con le sue molte genti. Io credo che questa identificazione sia l’unica via per armonizzare tra loro le varie linee di evidenza che troviamo nel libro di Daniele e nei contemporanei racconti cuneiformi >>.

 Whitcomb cita anche l’asserzione di W.F. Albright in The Date and Personality of the Chronicler (journal of Biblical Literature vol.40,p.11, n.2):  < di Dario il Medio possa nel futuro essere documentata……. Il nome Dario, persiano Darayavahush, era un titolo onorifico simile al nostro Cesare o Augusto al tempo dell’impero romano.   Nel persiano medievale (Zend) troviamo la parola << dara>> con il senso di re.

Forse Darajavahush può significare anche solo regale>>.   In questo contesto vorrei aggiungere una parola riguardante il decreto riferito  da Daniele 6, che proibiva di rivolgere un culto a qualsiasi divinità ad eccezione di Dario stesso per un periodo di trenta giorni.   Ammesso pure che il re in seguito si sia pentito di tale decreto quando si accorse che era soltanto una congiura per eliminare il suo fedele servo Daniele, è pur sempre necessario chiarire come mai egli abbia potuto aver sanzionato in un primo tempo tale legge.   In vista dell’intima connessione esistente tra religione e politica che esisteva nei popoli antichi, il decreto ci appare come una manovra per costringere i membri  delle varie tribù eterogenee e delle varie devozioni religiose a riconoscere la supremazia del nuovo impero persiano, che aveva preso il controllo dei loro domini.   Una temporanea sospensione del culto, (almeno nel senso di presentare richieste di benedizioni e di aiuto) era una misura ben calcolata per convogliare le menti dei sudditi di Dario alla realtà del cambio sopravvenuto dalla supremazia caldea a quella dei Medi e dei Persiani.   E’ quindi inopportuno negare la possibilità di un decreto così notevole e di condannarlo come un racconto favoloso e antistorico come molti critici hanno fatto.

Avendo fatto questo inciso, spero sia più chiara adesso la posizione biblica di certi personaggi così importanti nella profezia, e aiuti il mio lettore a districarsi un po’ meglio nel collegare la storia secolare alla storia della Bibbia.   Adesso ritorniamo con la nostra mente alla sala reale dove si verificarono gli avvenimenti che stiamo trattando.  

Ora appena il Re ed i suoi commensali ebbero finito di brindare nei sacri calici,  una misteriosa mano apparve sopra la parete della sala reale iniziando a scrivere delle parole assai misteriose con grande timore da parte di tutti gli astanti.   In particolar modo il Re, fu preso da tremore, “allora l’aspetto del Re cambiò, ed i suoi pensieri lo turbarono; le giunte dei suoi lombi si allentarono, e i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro.” Ver. 6.   Di nuovo vennero convocati tutti gli indovini i maghi e gli astrologi del regno per poter interpretare le parole scritte sul muro, ma anche in questa occasione nessuno fu in grado di leggerne  il significato.   La regina, sua madre, si ricordò, che ai tempi di suo padre c’era stato un uomo nel suo regno in grado di svelare ogni mistero, e subito venne convocato il profeta Daniele.   Egli lesse immediatamente: MENE MENE TEKEL PERES Trad. Diodati.    Altre traducono Parsìn.   La parola MENE deriva dalla lingua aramaica biblica antica dal verbo: menachem  la cui radice menà, significa CONTARE.  Tekel, significa PESARE.   Parsìn, che deriva dal verbo Perar, significa dividere.  Dopo averle lette il profeta enuncia la sua interpretazione: MENE, Dio ha contato i giorni del tuo regno, e vi ha posto termine. TEKEL, tu sei stato pesato sulla bilancia, e sei stato trovato scarso. PARSI’N, il tuo regno è stato diviso, e sarà dato ai Medi ed ai Persiani.

Viene spontaneo chiedersi come mai gli indovini non furono in grado di leggere il significato di tali parole, dal momento che esse furono scritte in lingua babilonese, che era la loro lingua madre.   Gli studiosi della’aramaico antico fanno due supposizioni che potrebbero essere tutte e due valide: la prima è che la scritta non fosse messa in orizzontale, ma in verticale, questo non permetteva di collegare tra loro le sillabe  e comprenderne il significato; la seconda è che fosse scritta invertendo le lettere dell’alfabeto, le prime con le ultime a scalare, (facendo un esempio per semplificare col nostro alfabeto le prime quattro sillabe  A B C D  e le nostre ultime T U V Z  alla prima sillaba si alternava l’ultima, alla seconda la penultima e così via.  Esempio A Z B V C U D T.

Comunque sia non solo Daniele fu in grado di dare la lettura corretta di queste frasi, ma fu in grado di applicare immediatamente al Re il significato personale che gli veniva attribuito.  Altri ancora attribuiscono un valore numerico a questa frase.   MENE = 1000  MENE = 1000  TEKEL = 20 PARSI’N = 500 = 2520, in questo modo torniamo alla profezia del grande albero fatta dal padre Nabucodonosor  dei famosi sette tempi profetici o 2520 anni che dovevano passare da quando DIO avrebbe tolto il suo Re rappresentativo a quando sarebbe tornato il Re dei Re!   Personalmente non conoscendo l’aramaico, non sono in grado di valutare quale di queste tre chiavi di lettura sia quella giusta.  Essendo io una persona di fede e scrivendo queste informazioni per persone che hanno fede, ci basterà concludere questo argomento con il versetto 30 del capitolo 5.

 Daniele Capitolo 7